Discussione generale
Data: 
Lunedì, 29 Aprile, 2024
Nome: 
Bruno Tabacci

A.C. 1665

Signora Presidente, onorevole Ministro, va detto che questa storia dell'autonomia regionale ha preso nel tempo una piega assai diversa rispetto alla fase costituente degli anni Sessanta e Settanta, che tante speranze aveva acceso sul tema del rinnovamento dello Stato. Comincia con la nascita della Lega, alla metà degli anni Ottanta, che minaccia e coltiva la separazione delle regioni del Nord e, purtroppo, continua con i Governi del centrosinistra, dal 1996 al 2001, che nella rincorsa della Lega realizzano tre modifiche della Costituzione, il cosiddetto Titolo V, i cui effetti non furono pienamente considerati: primo, cadde la parola Mezzogiorno dalla Carta costituzionale, che era stata alla base della istituzione della Cassa del Mezzogiorno; secondo, viene introdotta la promessa dell'autonomia differenziata; terzo, si prevede che lo Stato fissi i livelli essenziali delle prestazioni. Intorno al 2016-2017, si riapre, poi, la questione, sulla scorta di alcuni referendum regionali un po' strumentali, in Lombardia e in Veneto, dove l'autonomia viene presentata con l'obiettivo di trattenere le entrate fiscali, il cosiddetto residuo fiscale. In altri termini era come chiedere se si vuole bene alla propria mamma: vuoi che restino le tasse nella tua regione? Certo, un quesito veramente decisivo.

Così, alla fine del 2022 questo Governo mette insieme, con la proposta Calderoli, la promessa dell'autonomia differenziata con la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, stabilendo per legge che la prima può realizzarsi solamente dopo aver fissato i secondi. La rappresentazione dei fatti che si sono susseguiti è come un grande manifesto politico sganciato, però, dalla nostra realtà istituzionale e questo ha impedito di fare, come sarebbe stato necessario, un bilancio serio della nostra esperienza regionale, guardandone a fondo i limiti e i gravi difetti con l'obiettivo di cambiarla profondamente.

L'esperienza drammatica del COVID aveva successivamente evidenziato le contraddizioni sul campo di una competenza pressoché esclusiva nel settore assai delicato della sanità e questo è un fatto incontrovertibile e così si è mancato di approfondire la determinazione dei costi storici e dei fabbisogni, in altri termini, del passato e del futuro della spesa necessaria per determinare i livelli essenziali delle prestazioni, per poter stabilire in quali tempi e con quali modalità si poteva operare un'eventuale differenziazione, dopo aver garantito i livelli essenziali delle prestazioni, con riguardo ai diritti sociali e civili di tutti i cittadini senza far esplodere i vincoli di bilancio.

Così, si è lasciato che la Corte costituzionale, dal 2001, tentasse di ridurre i danni per evitare lo spezzettamento disastroso operato dalle cosiddette competenze concorrenti. Infatti, oggi, la ragionevolezza imporrebbe di investire su sanità e scuola, con un forte coordinamento dello Stato centrale, guarda un po'. E la transizione drammatica che stiamo attraversando ha affermato senza ombra di dubbio che su ambiente ed energia più che devolvere alle regioni dovremmo chiamare in causa la dimensione europea, che ormai sembra la dimensione minima per fare ragionamenti di questa natura. Per non parlare del guazzabuglio amministrativo che deve affrontare un povero imprenditore deciso a investire in Italia, intento a districarsi tra autorizzazioni e norme diverse tra regione e regione. Potrebbe prevalere la tentazione di cambiare Paese. E, poi, che dire di un federalismo fiscale applicato in una realtà che poggia sul sommerso cronico e talvolta malavitoso e sull'evasione che viene tollerata, perché in presenza di un “pizzo di Stato”, copyright: Presidente Meloni?

Il testo che abbiamo di fronte non affronta alcuna di queste tematiche decisive, è un manifesto politico, aggravato dall'intreccio con la vicenda del Premierato e, così, esso definisce una procedura bilaterale - poveri noi - senza un quadro d'insieme, in base alla quale richiedere ulteriori materie, chiamandola autonomia differenziata e questo in assenza di una individuazione molto dettagliata di ogni singola prestazione riferita ai LEP, con l'indicazione di un finanziamento adeguato e coerente per garantire l'uguaglianza sostanziale dei cittadini sull'intero territorio nazionale. Avremmo dovuto parlare di un Senato delle autonomie per responsabilizzare le regioni a livello nazionale e per evitare che le leggi bilaterali, con le diverse regioni, producano un effetto schizofrenico, senza una visione complessiva. I divari territoriali non sono certo superati e in un contesto simile rischiano di aggravarsi, allargando la frattura storica tra Nord e Sud del Paese. Negare questo vuol dire essere fuori dalla realtà.

La Repubblica ha bisogno di vivere in un modello più solidaristico che competitivo. Il ritardo meridionale era considerato una questione fondamentale nella vita del Paese e tale impostazione portò Alcide De Gasperi a istituire la Cassa per il Mezzogiorno, che, con l'istituzione delle regioni, fu travolta, facendo prevalere il particolarismo che riemerge oggi nell'uso dei Fondi di sviluppo e coesione, rovesciando così l'impostazione originaria della grande programmazione e dei grandi progetti. Adesso, con i Fondi di sviluppo e coesione siamo ai piccoli progetti, alle piccole spese.

Questa autonomia differenziata affossa la questione del dualismo territoriale, che pure sta alla base dell'attuazione del PNRR. Poi, ci sono ampie riserve sull'efficacia delle misure che si stanno programmando. Ne ha parlato la Banca d'Italia, nella memoria presentata al Senato: le decisioni sull'autonomia differenziata richiedono un'accurata e oggettiva analisi dei vantaggi e degli svantaggi derivanti dal decentramento di ciascuna funzione. Sarebbe necessaria, dunque, un'istruttoria per taluna materia, suffragata da un'analisi basata su metodologie condivise trasparenti e validate dal punto di vista scientifico. Niente di tutto questo è previsto, con gravi rischi per l'equilibrio della finanza pubblica e degli effetti della spesa sullo sviluppo del Paese, perché anche la qualità della spesa incide sullo sviluppo del Paese, non si trasferisce in PIL.

Pensiamo, ad esempio, alla gestione della spesa sanitaria. Negli ultimi vent'anni, i piani di rientro adottati in presenza di un disavanzo strutturale e finalizzati a riordinare il sistema sanitario regionale sono stati ben 11, i piani di rientro regionali, e hanno riguardato non solo le regioni meridionali, ma anche Lazio, Liguria e Piemonte. La qualità della spesa sanitaria regionale è assai dubbia, come dimostra l'esperienza dei nostri concittadini. Anche per questo le elezioni regionali vedono la minore partecipazione di elettori tra tutte le consultazioni che si svolgono nel nostro Paese. Nel Lazio, lo scorso anno, l'affluenza si è fermata al 37 per cento.

Le regioni erano nate anche per favorire la partecipazione popolare dei cittadini e migliorare l'azione dello Stato. È avvenuto esattamente il contrario. Il quadro che ne emerge è sconfortante. Mi chiedo se questo non sia un elemento decisivo per rovesciare l'impostazione del disegno di legge presentato dal Ministro Calderoli. Non si può valutare, allo stato, la bontà dell'autonomia differenziata, in mancanza di un'analisi sulla sua efficienza e sulla sua efficacia; il testo appare solo un manifesto politico controproducente, che spacca ancora di più il Paese, aggravato dalle forzature delle procedure parlamentari che sono state qui richiamate, che hanno tentato perfino di negare l'assenza di vincolo di mandato nella funzione parlamentare nel corso dello svolgimento di un voto, il vincolo di mandato. Al Nord si rafforza, dunque, l'idea che il Sud usi il ritardo per vivere sulle tasse degli altri, al Sud si soffre per il crescente antimeridionalismo. Tutte queste ragioni dovrebbero portare a una riconsiderazione complessiva; se non si farà, le conseguenze saranno molto pesanti.

Rivolgendomi, per suo tramite, al Ministro Calderoli, gli vorrei dire che questa non è la sua prima impresa, ma noi non abbiamo bisogno di effetti speciali, la legge elettorale che portava il suo nome, il Porcellum, fu da lei definita nella maniera già richiamata da alcuni colleghi, il 15 marzo 2006; la semplificazione che vedeva lei Ministro della stessa, terminò con un falò delle leggi inutili, mischiando il buono e il cattivo della legislazione e che era rappresentato da un muro di scatoloni di 16 metri, alto due e largo uno. Poi, gli emendamenti al disegno di legge Boschi sulla riforma costituzionale, presentati nel settembre 2015, sempre con la sua regia, furono 82.730.460, record mondiale, concepito unicamente per organizzare l'ostruzionismo. Pertanto, i 2.400 emendamenti di cui si parla oggi sono opera da dilettant. Quindi, caro Ministro, le parlo con rispetto. E concludo. L'autonomia differenziata, che nega la solidarietà istituzionale, fa strame dell'interesse generale, dividendo ancora di più il Paese nell'esplosione dei particolarismi, sia dei doveri, tra cui quello fiscale, che dei diritti sociali e civili. Non si avventuri. Non abbiamo bisogno di questi effetti speciali, perché ce ne sono già troppi in giro.